venerdì 29 dicembre 2023

Ci vediamo a DeFe

Non c'è una data di nascita ufficiale, ma una serie di demolizioni e spostamenti, che si sono susseguiti con l'unico intento di creare questo vuoto urbano. Potrei definire la piazza una novità che ha sgomitato demolendo parte della città medioevale.

Desiderata dalla nuova borghesia commerciale ottocentesca, in contrapposizione agli asfittici spazi del centro nobiliare, collegati da vicoletti oramai  fatiscenti. All'apice della sua ridefinizione urbana arrivò la fontana, corona liquida, simbolo di opulenza in una città in cui l'acqua era bene raro e prezioso. Una piazza in cui si affacciano i nuovi idoli di una città entrata a far parte del regno, il teatro titolato al re sabaudo, l'accademia di belle arti con la biblioteca civica, la borsa valori, il palazzo Ducale, ma solo il retro, il palazzo della Navigazione Italia. Questa piazza, da sempre luogo deputato per manifestazioni di giubilo e protesta, palcoscenico e salotto per ogni pensiero sociale cittadino. L'intitolazione non poteva che essere al grande benefattore, il duca di Galliera, che a suon di palanche si era comprato la benevolenza dei genovesi, ed anche un sontuosissimo palazzo proprio lì, accanto al teatro.

Ma la vera storia di questa piazza la fanno i genovesi, con quel: ci vediamo a DeFe!  che rappresenta una promessa certa. Luogo da cui tutto si raggiunge, accoglienza garantita per ogni generazione.

 ❝ È il centro della città. Il punto zero delle carte. Da qui si misura quanto gli altri siano distanti da noi, nello stesso luogo ove si realizzano gli incontri quotidiani. Arrivare dalle più lontane valli, scendere dai mezzi o dalle nobili strade della Circonvallazione, o salire dai fascinosi caruggi e incontrarsi qui, vestiti da domenica, è un rito che si rinnova da sempre, e poi partire abbracciati verso angoli amici. Vede più baci De Ferrari della Stazione Principe.❞

— Vito Elio Petrucci su Piazza De Ferrari.

E quindi quale luogo migliore per festeggiare il nuovo anno, tutti in piazza De Ferrari, che non è nemmeno capodanno se non passi a DeFe per vedere chi c'è. E chissà se il nobile Raffaele, così notoriamente schivo alle occasioni mondane avrebbe apprezzato.

Buon nuovo anno allora, e se non ci incrociamo prima, ci vediamo a DeFe, per il tricapodanno!

lunedì 25 dicembre 2023

La tradizione è la custodia del fuoco non l'adorazione della cenere

500 anni fa, esattamente nel 1523 a Bergamo, un pittore riceve l'incarico di dipingere una natività, lo farà magistralmente, usando una tavola lignea di 50x40 cm, su cui rappresenterà, all'uso della sua epoca, Maria e Giuseppe in abiti rinascimentali inserendoli in quello che si pensava fosse il paesaggio in cui nacque Gesù. Nel quadro ci sono moltissimi simboli interessanti, tipo la firma del pittore su una pialla da falegname, una bisaccia che preannuncia la fuga in Egitto, ma la curiosità maggiore è quel crocifisso alle spalle della culla, un distopico spoiler di ciò che sarebbe accaduto trentatré anni dopo.

Questo piccolo quadro è ricco di rimandi simbolici, che testimoniano due cose, la profonda conoscenza della Bibbia da parte dell'artista, ma anche il desiderio del committente di avere un'opera all'altezza della propria cultura. Tutti questi intrecci sono una sorta di meme, il quotidiano ricordo di un messaggio di speranza, che non è solo quella fanfaronata dai preti di ogni epoca per far cassa. A guardar bene c'è di più, qualcosa che non è fede bigotta, ma fiducia in se stessi e nelle proprie capacità di vivere nel mondo con armonia. E cos'altro potrebbe evocare questa immagine, con una simbologia talmente evidente da renderla emblematica. Insomma vederci solo la classica natività è quasi una bestemmia.

venerdì 22 dicembre 2023

Fino a che punto i buoni riflessi portano all'omicidio premeditato?

Oramai mi ritengo esperto, e posso evitarmi una cena natalizia senza alcun senso di colpa. La prima è stata quella aziendale allargata, ce ne sono infatti due versioni, quella per gli impiegati dell'ufficio sede centrale, e quella allargata per soci e gli altri dipendenti, a cui però sono invitati un po' tutti, anche mogli e mariti vari, qualcuno ci porta pure i figli, con la scusa che lasciarli soli in casa fa brutto.
Quella allargata si svolge in una genuinissima osteria dell'entroterra, posto da amatori e camionisti, per cui la cosa migliore è fare delle carovane di commensali; cosa che poi obbliga a comitive di rientro, troppo stile liceali anni '90 per poter essere tollerabili oggi.
Quella degli impiegati invece individua un ristorantino-puzza-sotto-al-naso, dove è meglio presentarsi in cravatta, e comporta una spesa che per me rappresenta una settimana di supermercato-discount-offerte tre per due, e forse qualcosa di più.
Quindi non sarei troppo rilassato a fare quelle faccende "alla romana" e men che meno a decidere uno slalom tra pietanze dai nomi stellati, accompagnate da vini ottimi, ma da centellinare a calice.

In ogni caso ho deciso che potevo fare tranquillamente a meno di entrambe, e di passare tre ore a tavola con gente che nemmeno conosco, o con cui oltre il lavoro non ho altro da condividere.
Infatti parlare di lavoro dopo il lavoro, non è una delle mie pratiche predilette; così ho almanaccato altre faccende, grazie anche al fatto che le cene erano di venerdì sera, giorno ottimo per una irrimandabile partenza per un fine settimana altrove.

A seguire ci sono state un paio di altre trovate natalizie di amici e conoscenti, perfino qualche famiglio ha ritenuto utile proporre una pizzata, una classica cuginata, che a me andare in locali già gonfi di festeggianti faceva salire il fastidio. Così ho declinato a prescindere, rinunciato ad ampio spettro, almanaccando scuse di altre cene già assegnate, che cena scaccia cena, è un alibi perfetto.

A me tutto questo improvviso desiderio di convivialità natalizia sfugge, soprattutto mi stranisce la frenesia e l'impegno che comporta, anche economico, magari con scambio di 'pensierini'. Sarà che il Covid ci ha lasciato desiderosi di tavolate affollate, ma a me sembra più ripercorribile un sano lock down natalizio.

domenica 17 dicembre 2023

Non è mai troppo tardi per andare oltre (*)

(*) Lo dice Dante e lo prendo come un consiglio politico per superare certe paludi che altri paesi prima di noi hanno attraversato. Un interessante libro di Tommaso Cerno, porta sconfortanti considerazioni sull'Italia post fascista, si potrebbe dire dal '48 a oggi, un post fascismo che a quanto pare fatica a lasciarci. Una malattia mai guarita; tedeschi e spagnoli hanno superato, elaborato, l'Italia no, ne è ancora affetta. Il fascismo come qualcosa di endemico, oramai entrato nel DNA. Patetica giustificazione per certe derive? Alibi?
Ciniche considerazioni, ma vere. Cerno parte da un aspetto poco conosciuto, la finestra del balcone di Palazzo Venezia, chiusa con un lucchetto le cui chiavi sono nella tasca di Mattarella. Primo grande scheletro nell'armadio.
Pensavano di aver finito la partita con Piazzale Loreto, ma non è così. E allora Cerno si fa una domanda:

Non sarà forse che le cose non sono poi così tanto cambiate da allora?


L’assenza in Italia di un processo simile a quello di Norimberga, la censura iconografica ad opera della Rai di quanto accaduto nei campi di concentramento e lo stesso lucchetto intoccabile di palazzo Venezia, dimostrano la paura di rinvangare e conseguentemente accettare il passato.


Ma l'analisi va oltre, così scopro che tutti quelli che avevano sostenuto il duce non solo non vengono puniti, ma iniziano a ricoprire le cariche del governo appena formatosi. In pratica, lo Stato, che si propone come democratico, ricicla i gerarchi, offrendo al popolo solo un’illusione di cambiamento. 
Ma nel libro il vero protagonista sono gli italiani, i  quali hanno dato vita a nuove generazioni di persone “geneticamente, forse inconsciamente, fasciste” come lo stesso Cerno sottolinea. Viviamo in un paese in cui la manifestazione del pluralismo politico é data dalla dimissione dell’oppositore e non da un confronto parlamentare che permetterebbe la vera democrazia.

La scelta di non andare a votare riduce la passione politica a una forma primordiale di tifo da stadio e conferma come gli italiani siano emozionalmente coinvolti dalle parole e dalle immagini attraverso le quali i singoli movimenti si sponsorizzano. Parole e immagini che, come ai tempi del duce, influenzano le nostre vite quotidiane in base non più a delle precise ideologie ma a delle necessità che, se non rispettate, sono matrice di dissenso.


Ne emerge una classe politica incapace di assumersi le proprie responsabilità, che anzi governa e decide come farebbe una dittatura, imponendo leggi non condivise, spesso a detrimento dei cittadini, spesso a vantaggio di pochi, una classe in cui corruzione, malaffare e parentopoli varie sono all'ordine del giorno, esattamente come nelle migliori dittature. Quanto al pensiero dell'italiano medio, aggiungo io, basta scorrere le cronache ed eccolo che emerge, nemmeno troppo infiocchettato, direttamente dal ventennio, il tabu del fascismo mai superato o risolto e per questo ancora presente sottopelle. Altro che riaprire il balcone di Palazzo Venezia senza farsi venire la pelle d'oca, o il passo.

E poi c'è tutta la questione coloniale che viene abilmente insabbiata, taciuta, un'omertà che non è uno scheletro nell'armadio, è qualcosa che sta ancora lavorando nella cultura dell'Italia di oggi.

Che poi a pensarci bene, noi italiani, o meglio certe istituzioni che comunque rappresentano una certa maggioranza, queste incongruenze le commette ancora oggi, magari promuovendo un criticatissimo Vannacci per 'competenza di ruolo'. Che non è una promozione dicono, ma nemmeno una punizione. Quindi cos'è? Non lo sappiamo e forse nemmeno serve saperlo.

mercoledì 13 dicembre 2023

Le persone scompaiono ma i libri rimangono

I libri raccontano molto della persona a cui appartenevano, e questo li rende amati ed odiati, testimoni scomodi o semplicemente oggetti di cui sbarazzarsi. Questo pensavo mentre il libraio riordinava i suoi scaffali con i nuovi consistenti arrivi. Non ho idea se salvare libri sia un'attività meritoria, sicuramente non è remunerativa come lo era un tempo. Non sono merce deperibile e potrebbero passare anni prima di poterli rivendere. Chi vende libri usati oggi è visto come un eccentrico, un'attività marginale che spazia dall'hobby al brocantage. Poi mentre ero lì, a guardare quel disordine ho provato un improvviso benessere. E non saprei dire come, ma per qualche strano ed inconoscibile motivo, quegli scaffali erano diventati mura incrollabili tra cui rifugiarsi. Penso che anche il libraio provasse lo stesso sentimento, per alcuni i libri danno sicurezza.

venerdì 8 dicembre 2023

Colui che si perde nella sua passione perde meno di chi perde la sua passione

Diceva così Agostino d'Ippona, e trovo che sia un bell'aforisma; in fatto di passioni tuttavia ho difficoltà a stabilirne una prevalente, penso sia più la somma di vari interessi e quale sia il prevalente non credo abbia molto senso capirlo, in fondo è un hobby e del tutto personale, quindi navigo a vista. Dovrei anche saper distinguere tra passione ed interesse. Per un certo periodo ho amato molto viaggiare, ma poi vuoi anche per il covid, la voglia di partire per scoprire posti nuovi o semplicemente per rivederne di vecchi, mi è passata. Un tempo ero affascinato dal viaggio come possibilità di incontri e conoscenze, ora molto molto meno, anzi sono quasi infastidito dall'idea di incontrare persone (spesso sgradevoli) che interferiscono con la mia idea di viaggio come momento piacevole lontano da confusione e frenesia. La passione di questi giorni è passeggiare nel bosco, è una cosa un po' fine a se stessa, al massimo raccolgo qualche ramo secco per la stufa, scorgo i passeri in cerca di bacche e una serie di altri animali misteriosi di cui sento solo il fruscio nelle foglie secche. Ma va benissimo così.

sabato 2 dicembre 2023

E mi troverò bene, come un nocciolo in una ciliegia

Breve soggiorno al Paese, l'inverno incalza e la quiete resta una delle peculiarità di questa valle incastrata nelle montagne liguri. In queste giornate la mia attività preferita è alzarsi presto, sbirciare fuori dalla finestra, annusare l'aria frizzantina, controllare se il gatto è tornato dalle sue scorribande notturne, riaccendere la stufa che ha ancora della brace sotto la cenere, prepararmi una ghiotta ed abbondante colazione, e poi tornarmene a letto sotto al piumone e dormire sino a che gli occhi non si riaprono da soli.