domenica 12 giugno 2022

Son tutti signori coi soldi degli altri

Narrano le cronache che nelle sue fondamenta siano sepolti gli scheletri di 10mila genovesi, morti durante la Grande Peste; l'epidemia funestò la Repubblica per due anni, tra il 1656 e il 1657, durante i quali si stima che morì circa il 75% della popolazione di Genova. In quel periodo ogni cripta, galleria, fossa e scavo venne utilizzato per seppellire i cadaveri infetti, compreso lo sterro delle fondamenta di quello che diventerà il più grande edificio dell'epoca barocca genovese.
Oggi, con i suoi 60mila metri quadrati di superficie, l'Albergo dei Poveri resta l'edificio più grande della città, immenso per superficie e volumi. Una vera e propria macchina abitativa, che comprendeva dormitori separati per donne e uomini, cucine, mensa e refettorio per i religiosi, una chiesa, spazi amministrativi e laboratori di tessitura ed altre manifatture, magazzini ed un innovativo sistema di bagni e lavanderia. L'edificio, mai completato nella sua totalità, nel 1694 contava 2.600 internati.
Dico internati perché chi vi entrava di fatto approdava ad un reclusorio basato sul lavoro, in cui le attività manuali, viste come forma di autofinanziamento e al tempo stesso come strumento di salvezza spirituale, scandivano insieme con la preghiera, la giornata degli ospiti che non potevano mai lasciare l’Albergo, né di giorno né di notte, salvo casi eccezionali, tipo la morte.

La struttura è la perfetta rappresentazione del pensiero assistenziale dell'epoca, in cui il ricco mal sopportando la vista del povero inoperoso, del mendicante e dello straccione, si adopera affinché esso diventi invisibile. Quindi la soluzione ottimale è quella di creare un immenso scatolone in cui rinchiudere i poveri per allontanarli dalla società civile ed operosa, ma anche per sfruttare a poco prezzo una forza lavoro praticamente inesauribile, che sarà grata di avere vitto e alloggio a scapito della libertà. Non a caso i suoi immensi stanzoni saranno riutilizzati nel 1746 per ospitare ben 4000 prigionieri austriaci. Così stuoli di benefattori, finanzieranno questo progetto faraonico, che ci fornisce la misura della disparità di classe esistente in una Repubblica governata da un'oligarchia trasversalmente atea, impegnata ad accumulare ricchezze. Tuttavia il passaggio della Grande Peste farà presto capire come la livella ci sia per tutti, ed il principale benefattore sceglierà una tomba semplice ed anonima in segno di umiltà e devozione.

Utilizzato solo per un quarto della sua superficie, il resto dell'edificio è consegnato ad un abbandono pluridecennale in attesa di un progetto che lo salvi dal degrado. Si potrebbe quasi annoverarlo nell'elenco delle tante opere incompiute di cui l'Italia sembra la capofila internazionale. Ma limito la faccenda all'ennesimo caso di bene storico artistico abbandonato a se stesso. A quanto pare la lungimiranza nei benefattori del XVII secolo è andata perduta, ed oggi solo la cupidigia della speculazione edilizia e la dolosa gestione delle ingenti donazioni hanno mosso l'ipocrisia dei successori. 
Sarà andata proprio così?
Alla domanda forse risponde il prezioso Archivio che conserva, in un unicum ininterrotto che arriva intatto sino ai giorni nostri, documenti risalenti al 1419, data di fondazione dell’Ufficium Misericordiae da parte del Doge Tomaso Campofregoso. Sono registri contabili e preziose miniature, che testimoniano la vocazione alla beneficenza della società genovese, ed al tempo stesso la grande capacità amministrativa che ne era il necessario presupposto.
Ovviamente per tanta munificenza non poteva mancare una statua in memoria, così ecco creata la Sala delle Statue o dei Benefattori; luogo in cui i volti dei genovesi filantropi furono eternati per i posteri.

12 commenti:

  1. Un groppo allo stomaco di nostalgia, per quando venivo a Genova ogni giorno!

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    1. non vedo l'ora di poter sfogliare quell'archivio

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  2. ... questo "immenso scatolone" dove nascondere i negletti per lo meno era bello, ora abbiamo quartieri periferici, già pieni di problemi, dove stipare anche immigrati...
    ... mi domando, perchè non accogliere a Milano nel quartiere di Brera, in via Montenapoleone o a Roma ai Parioli o a Genova zona Municipio Medio Levante ...
    ... io lì farei dei centri accoglienza o mense per i poveri allora tutte le parole sarebbero più credibili ...

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    1. oggi il concetto di "bellezza" è qualcosa di sconosciuto ai più, e ci metto anche un po' di incapacità

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  3. NOI del partito degli under 70.000 abbiamo i campi lavoro rieducativi per i truffatori e i delinquenti nullatenenti agli occhi del fisco

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  4. Ho un ricordo tremendo di quel luogo. Un giorno mia zia mi portò a trovare un suo conoscente, ero una bambina ma non ho scordato quell'immenso stanzone con una marea di letti disposti ai lati e in centro un enorme spazio. Provai un senso di tenerezza per quelle persone ed oggi quando passo di li non posso fare a meno di ripensarci.

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    1. chissà quante storie di questo tipo racchiudono quelle mura...

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  5. Il problema non sono i poveri sono i molesti, balordi, criminali e nocivi.
    I danni che causano sono, generalmente, proporzionali ai mezzi economici posseduti e alla consistenza numerica del gruppo (esempio: i magrebini di generazione n producono gli inferni banlieue: non hanno mezzi economici ma sono molto numerosi e la nocenza è grave proprio per il numero).

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    1. e QUI  ne trovi uno splendido esempio, ma sembrano diventare categorie protette

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  6. Grazie per questo post. Mi ha riportato alla mente molte cose. Quando ero piccolo andavo a trovare una mia bis nonna che era ricoverata, o melgio dire “chiusa”, lì dentro. Poi anche il parente di una mia zia. Ricordo gli stanzoni, terribili, e quell’odore che non scorderò mai.
    Nella parte laterale ci abitava la famiglia di un mio amico, suo padre faceva il custode lì dentro, una porticina poi li collegava all’interno, il mio amico andava a giocare spesso nel campetto di calcio che avevano allestito in uno dei tanti cortili dell’Albergo. Poi l’Università nell’ala est, un progetto mai decollato. Solo qualche aula direi, ora non so è parecchoi che non ci vado. Una struttura che avrebbe potuto diventare una cittadella culturale, un polo universitario vero e proprio e invece è lì a ricordarci quanto si difficile in questa città valorizzare la propria storia. Grazie

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    1. una cosa che devo capire è se gli "ospiti" entravano spontaneamente nell'Albergo oppure per conseguenza di qualche condanna

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