Dopo la curva a gomito che i vecchi in paese chiamavano curva iena, si trova la casa del Panperduto; quando fu fatta la strada c'era il ghiaietto e le gomme slittavano e bisognava andare piano per non finire nel fosso. Poi misero l'asfalto, ma continuarono a chiamarla curva iena, perché quando pioveva era come ci fosse ancora il ghiaietto.
Nella casa del Panperduto ci abitava la famiglia del Beretta; lui aveva fatto l'alpino sul Piave e lì aveva imparato a fare il pane e la focaccia per i soldati. Finito il militare gli avevano dato l'indennità, così era tornato al paese e con quei soldi aveva rimodernato la casa che gli aveva lasciato suo nonno, il vecchio Beretta, e al posto della stalla ci aveva fatto un forno per cuocere il pane e davanti la panetteria. E per vendere il pane aveva assunto la Gerina, e poi se l'era sposata.
Con la Gerina ci aveva fatto tre figli, due maschi e una femmina, e siccome gli affari gli andavano bene, vivevano tutti nella casa dopo la curva iena, che ancora in paese la chiamavano la casa del vecchio Beretta e la strada non era asfaltata, e alla mattina presto si sentiva il profumo del pane appena sfornato.
Quando era arrivata la guerra, i figli del Beretta erano stati chiamati alla caserma ed arruolati. Così andarono al fronte che erano appena diciottenni. Vincenzino che era marinaio fu imbarcato su una cacciatorpediniera, Mario invece era alpino come il padre e fu mandato in Russia. Quando arrivavano le lettere dal fronte, il Beretta si sedeva accanto al bancone della panetteria e la Gerina gli leggeva le novità e rispondeva subito a quei figli lontani, che per vedere dov'erano serviva andare sino al municipio dove nell'aula della scuola c'era la carta geografica.
La guerra portò al paese quelli che non volevano restare in città per paura dei bombardamenti, li chiamavano gli sfollati, e tutti comperavano il pane del Beretta, perché era più buono di quello che vendevano in città. E la Gerina pensava che non era poi così male quella guerra che le portava clienti.
Siccome il Beretta faceva il pane anche per i partigiani, un giorno gli dissero che i tedeschi lo cercavano per interrogarlo. Così scappò sulle montagne e la Gerina restò da sola con la Claretta, che in quell'inverno freddo e umido si prese la poliomielite.
Alcuni mesi dopo arrivò un telegramma dal ministero della guerra, diceva che il Mario era disperso a Tambov e verso la fine della guerra un altro che diceva che Vincenzino era affogato nel mare di Tripoli.
Così il Beretta, che era nascosto sul monte assieme ai parigiani, si ammalò di crepacuore per tutte quelle disgrazie e quando tornò non era più come prima, aveva i capelli bianchi e sembrava che di stare sulle montagne gli avessero rubato l'anima ed iniziò a trascurare la casa e la panetteria.
Poi erano arrivati certi sindacalisti, a parlare ai contadini delle fabbriche che c'erano in città, e di come si poteva guadagnar bene anche nelle cattive stagioni, anche se la mucca si ammalava di tubercolosi e le galline non facevano uova. Molti erano andati in città per vedere se era vero; e quando erano tornati avevano preso le mogli per andare a vivere vicino all'acciaieria in riva al mare, e delle case lasciate al paese non importava a nessuno. perché quelle di città erano più comode.
In paese rimasero in pochi ed ogni sera il Beretta, portava a casa il pane avanzato, e la Gerina si lamentava che preferiva i soldi e non quel pane perduto che diventava pòsso, ed era buono solo per le galline. Così in paese iniziarono a chiamarla la casa del pane perduto, invece della casa del vecchio Beretta. E lui si doleva di quella figlia zoppa e senza dote, che non l'avrebbe maritata con nessuno e quando morì, la Gerina la mandò in collegio dalle suore.
La Claretta finiti gli studi rimase a vivere in città e diventò maestra di scuola. Così la Gerina restò da sola in quella grande casa, a spolverare ricordi e badare alla memoria dei suoi cari che la guerra le aveva portato via, e quando divenne troppo vecchia se ne andò anche lei a vivere in città con la Claretta. Cadde così il silenzio nella casa del Panperduto, ed alla curva iena al mattino non si sentiva più il profumo del pane appena sfornato.
Oggi la casa del Panperduto è un rudere con il tetto sfondato, e l'edera copre quasi tutti i muri, perfino dentro. Nessuno si ricorda della Claretta, che non tornò mai al paese, e non si sa bene di chi sia quella casa. I foresti che salgono alla vetta dove c'è il rifugio alpino, ci passano davanti e la trovano romantica. Camminano con i loro bastoncini da trekking, fanno le foto con il cellulare e dicono: peccato che nessuno voglia vivere in questa bella casa in mezzo al bosco, e lo dicono sognando di abitarci per qualche giorno. Senza sapere la sua storia, senza aver conosciuto i Beretta. Non sanno nemmeno perché la casa del Panperduto fu chiamata così, loro non hanno mai sentito il profumo del pane passando dalla curva iena.
Ma che bella storia! Anche triste però!
RispondiEliminatante case nell'entroterra ligure scontano questa fine, anche nella bellissima Lunigiana
EliminaNell'archivio di Stato non so, ma in quello comunale si dovrebbero trovare notizie
Eliminaormai è da buttare, magari quando fu lasciata, potevi farci un pensierino per una usucapione
RispondiEliminail tetto sfondato la fa riaccatastare come rudere e quindi niente IMU per il resto terreno con fabbricato resta edificabile con l'agevolazione del 25% di volume in più se arriva un'impresa edile che vuole speculare un pochino e buona pace ai Beretta che si rivolteranno nella tomba
Elimina... bella storia. Anche da me ci sono molti ruderi nel bosco; di alcune conosco la storia, vagamente tramandata dal nonno...
RispondiElimina... molte erano case di cavatori che abitavano anche in posti inospitali, specie d'inverno, per essere già vicino alla cava...
... spesso passando davanti fantastico è a volte mi par di vedere gesti quotidiani di chi ci ha abitato...
Bella (forse non è l'aggettivo migliore) questa storia e raccontata bene.
RispondiEliminaMolti i contrasti, bene-male, vita-morte, rurale-urbano, pace-guerra.
Grazie!