Palazzo Barpi-Chillotti è un edificio probabilmente risalente a fine ‘500 (non si conosce con precisione la data di costruzione), la famiglia si insedia nel tardo ‘500 nel Borgo dei Pescatori con un gruppo di ville destinate alla villeggiatura estiva, tutte caratterizzate dalla struttura architettonica del filone alessiano diffuso dagli allievi.
Secondo una planimetria del 1757 era di proprietà del Magn.co Alessandro Pinelli, assieme ad altri edifici, passati nel corso dell'ottocento alla ditta di confetture Francesco Segalerba & Fratelli, venne poi adibito ad uffici e abitazioni private.
Posta lungo il litorale, la villa presenta un impianto cubico regolare, con caratteristico tetto a padiglione; è costituita da un piano terra con un ammezzato sopra; un piano nobile, anch’esso con un ammezzato sopra; ed un piano sottotetto. La facciata principale, rivolta verso il mare, da cui era lambita e forse anche minacciata di inondamento nei casi di mareggiata se non fosse stata eretta leggermente sopraelevata rispetto all’arenile, è senza terrazze né balconate; ha sette grandi finestre equidistanti. Sopra l’ingresso, spicca lo stemma della famiglia Barpi-Chillotti Pinelli. Anticamente la proprietà era dotata di un ampio terreno, ancora visibile nelle planimetrie del 1773, allora esteso verso monte sino alla strada collinare, coltivato con grande effetto scenografico a giardino all’italiana, orto e frutteto.
L’apertura della ferrovia e relativa strada carrabile, tagliarono questi terreni che vennero poi invasi da costruzioni industriali della Società Fratelli Segalerba, sconvolgendo la loro naturale bellezza. Lo sbancamento del colle e, negli anni ’80, la costruzione dei grattacieli, hanno rivoluzionato l’insieme, generando uno spiazzante accostamento antico-moderno.
L’interno del palazzo fu modificato dagli ultimi proprietari, specie il piano nobile adibito ad abitazioni, così come l’ammezzato superiore, al punto che ora è difficile leggere le antiche strutture. Vi erano due ingressi, per offrire continuità a chi entrava, tra l’interno e gli ampi spazi posteriori del giardino. Rimangono indenni lo scalone – in ardesia come da antica consuetudine genovese, a tre rampe disposte a C e sboccante al piano nobile presso la loggia, da tempo non più utilizzata e tamponata – ed in parte le cucine poste nel sottotetto; queste interamente decorate con dipinti che sottintendono cosa poteva esserci di decorativo nelle sale del piano nobile, prima delle ristrutturazioni.
Il palazzo nel 1963 fu inserito negli edifici protetti e vincolati. Questo atto presumibilmente salvò il palazzo dalla demolizione, ma ne fermò l'utilizzo causandone il progressivo abbandono. Attualmente si presenta in uno stato di completa incuria, con un forte ed evidente degrado, denotato da caduta di calcinacci e simili.
eppure resiste, magari senza un filo di cemento, resiste
RispondiEliminae quante potrebbe raccontarne di storie
EliminaA Granarolo ce ne sono alcune di queste ville abandonate. Hanno un fascino particolare e spesso grazie agli anziani del posto, imparo delle storie curiose che le riguardano.
RispondiEliminaè davvero un peccato che queste meraviglie rimangano abbandonate
Eliminacentinaia di storie racchiuse in quelle mura.
RispondiEliminamaralietodì
da scriverci del romanzi
EliminaCiao ComplimentiPoe
a saperlo fare.
Eliminaciao :)
Sai dove devi andare....a Carignano! Architettura e archivistica si possono incontrare felicemente!
RispondiEliminadicono che archivio e costruito sono insieme il miglior documento storico
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